DISTURBI CARDIOVASCOLARI
È risaputo che i disturbi cardiovascolari vanno di pari passo con un’alimentazione sregolata. Per quanto le uova possano essere erroneamente demonizzate, il colpevole principale sono i grassi, in particolare i grassi saturi. A tale riguardo, non tutti sono consapevoli del fatto che mangiare carboidrati in eccesso porti alla trasformazione dello zucchero in grassi. Di conseguenza, gli zuccheri e i carboidrati in eccesso sono una causa scatenante di problemi cardiovascolari.
Tuttavia, non è completamente chiaro quale sia la quantità di grassi concessa affinché si possa rimanere sotto la soglia non patologica, cioè quella che ci permette di evitare la formazione di placche aterosclerotiche e quindi infarti e ictus. Purtroppo, la risposta a questa domanda non è univoca. Molto dipende dalle predisposizioni genetiche che vengono ereditate dai nostri genitori. Per esempio, è generalmente risaputo che una cospicua quantità di grassi buoni (pesce azzurro, frutta secca, avocado, olio extravergine di oliva) porti ad un aumento delle HDL (colesterolo buono) e riduca le LDL (colesterolo cattivo). In realtà, alcune persone con polimorfismi genetici non riescono ad incamerare questi grassi sotto forma di HDL, mentre continuano a salire LDL e Trigliceridi, aumentando così il rischio cardiovascolare. In questi casi è necessario mitigare anche la quota di grassi buoni per evitare di incorrere in problemi, monitorando sempre l’andamento con analisi cliniche.
Ma come si fa a sapere se una persona è più a rischio cardiovascolare di un’altra? Oltre a monitorare l’occlusione dei vasi mediante Ecodoppler o mediante Calcium Score – tecnica più sofisticata che permette di rilevare i depositi di placche a livello sistemico – è fondamentale andare ad analizzare diversi parametri che se presenti aumentano il rischio di restringimento dei vasi sanguigni (stenosi). Questi parametri sono i seguenti:
• Lp (a) o Lipoproteina a: è un marker che aumenta il rischio di formazione placche e coaguli sanguigni. È spesso ereditario e dipende da polimorfismi genetici (mutazioni al DNA). Sapere che i livelli sono alti predispone ad un rischio cardiovascolare maggiore.
• LDL ossidate e LDL piccole e dense: sono una frazione delle LDL convenzionali. Anche queste analisi vengono eseguite mediante prelievo sanguigno ma c’è bisogno di tecniche di lettura più sofisticate rispetto alle comuni LDL. Conoscere la quantità in circolo di questo tipo di proteine fornisce il rischio di andare incontro ad occlusioni e restringimenti vascolari.
• Rapporto Trigliceridi/HDL: il vero rischio di infarto del miocardio, ictus e trombi – persino superiore a quello che emerge dai valori di LDL – è dato da livelli alti di trigliceridi associati a livelli bassi di HDL. Questa combinazione è estremamente deleteria ed è dettata principalmente da polimorfismi genetici. In questi casi la sola alimentazione fa spesso fatica a correre ai ripari e bisogna intervenire diversamente.
• Fibrinogeno: è un marker di coagulazione sanguigna. Indica quanto velocemente coaguli il sangue. Un valore di fibrinogeno alto indica una maggiore frequenza di formazione di coaguli che contribuiscono al restringimento di vasi sanguigni.
• D-dimero: è una misura complementare al Fibrinogeno. Quando quest’ultimo viene processato e degradato i livelli di D-dimero aumentano. Questo valore ci fa capire che ci sono coaguli in corso ma che l’organismo è in grado di correre ai ripari. Solitamente in persone che prendono anticoagulanti e hanno una coagulazione rapida, il D-dimero è elevato.
• Omocisteina. È un aminoacido che può aumentare considerevolmente nel torrente ematico. Se i livelli superano una certa soglia contribuisce significativamente alla formazione di trombi.
• Calcio: Livelli elevati di calcio possono facilitare la calcificazione di placche aterosclerotiche. Per quanto questo minerale sia fondamentale per diverse reazioni biochimiche che avvengono nel nostro organismo, un eccesso in circolo o un assorbimento basso a livello delle ossa può facilitare la stabilizzazione di placche.
Un programma nutrizionale mirato ad ottimizzare i parametri clinici tiene in considerazione tutte queste varianti e mira a trovare un equilibrio fisiologico che riduca di gran lunga il rischio di compromissione cardiovascolare. Quando la sola alimentazione non è sufficiente a mantenere livelli fisiologici di questi markers, soprattutto quando le mutazioni genetiche agiscono in sinergia, è necessario integrare nutraceutici e fitoterapici che hanno azione simil-farmacologica. In alcuni casi, il farmaco prescritto dal cardiologo è la scelta più sicura. Tuttavia, anche in quel caso bisogna selezionare accuratamente il tipo di farmaco a causa degli effetti collaterali che comportano. Per esempio, le statine possono essere idrofiliche e lipofiliche. Queste ultime attraversano la barriera emato-encefalica e aumentano considerevolmente il rischio di declino cognitivo (circa il 30%), mentre quelle idrofiliche sono più sicure. Un altro elemento che spesso non viene preso in considerazione è che dal colesterolo si originano gli ormoni sessuali, per cui inibire la produzione di colesterolo a livello sistemico non è una scelta saggia e bisognerebbe prima optare per soluzioni meno impattanti, perché sono un’opzione perseguibile. Ovviamente, il tutto va messo sul piatto della bilancia e analizzati costi e benefici.
In conclusione, essere nelle mani del professionista giusto nella gestione dei disturbi cardiovascolari vuol dire prendere in considerazione quanto sopra e adattarlo al percorso nutrizionale che sarà stilato.